Mondo santo e bianco
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 115, p. 3
Data: 15 maggio 1955
pag. 3
Ora che devo lasciarti, mondo santo e bianco, riconosco che non ho saputo vederti, scoprirti, goderti.
Ho guardato i fiori del biancospino e della vitalba, del gelsomino e del giglio d'orto, con occhio disattento e vagante, senza accorgermi che ciascuno di quei fiori nascondeva un messaggio e annunziava un miracolo. Il nevaio dell'Alpe e la nuvola di primavera, la spuma del mare e il diadema della luna sono candori diversamente candidi, ma io non seppi ravvisare quello che rappresenta la più intangibile innocenza.
Nella bianchezza dei marmi tombali non vidi che le chiazze delle muffe e gli scolaticci dell'umidore; nei cigni che tacitamente solcano le acque taciturne. non fui capace di scorgere nulla più che un emblema abbandonato ai volghi. Nello sconsolato deserto delle anime vacillanti o appena accese, io passai come un cieco vento che spenge, invece di ravvivare, i fuochi tepidi e fumidi. Il bianco degli occhi fedeli e dei visi avoriacei dei martiri non disse nulla al mio intelletto otturato dalle croste dei vocaboli.
E devo lasciarti, mondo santo e bianco, come un mendicante che non ha potuto, con le sue mani rattrappite dal tramontano, battere alla porta di un padrone anche troppo generoso e deve tornarsene, solo, nella nera sera, senza aver potuto ricevere le monete lucenti che erano state preparate amorosamente anche per lui.
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